Ci sono progetti che nascono dalla conoscenza,
ci sono progetti che nascono dalle idee,
ci sono progetti che nascono dallo stupore.
Ho vissuto lo stupore fin dal primo attimo e
Tarthesh me ne ha offerto una porzione divina
nei toni, nei colori, nell’armonia, nell’azzardo.
Parcheggiando, ho sentito i rumori dei ciotoli,
e respirato la polvere. Mi son detto: il solito posto,
mi dovrò adattare a una conoscenza già vissuta.
Poi, entrando in Tarthesh, una mano di magia
ti coglie di sorpresa e ti immerge nel silenzio.
Fughe di colonne in forma di pilastri bianconero,
tappeti, arazzi, vasi smisurati, tracce d’antico.
Un giovane di nome Ettore, ma forse “Ettorre”,
voce calma, pacata e gesti misuratissimi e
altrettanto nelle pause. Persino le folte fedine
sono discrete e ritraenti; il portamento è acheo
e pure l’arguzia. Dove mi trovo, e perchè mai
son capitato proprio in questo luogo del tempo?
Ed Ettore: “Tarthesh è terra dalle vene d’argento
noi qui, a custodirne la memoria, e il respiro.”
il ricordo va all’ossidiana di Cossyra, la semplicità
di linee, i suoni del silenzio, l’impeto del vento.
Le luci dell’alba sono quelle della notte che avanza,
avanza con le sue lusinghe e il suo batticuore.
E d’improvviso scorgo l’agorà del mistero di parola.
Fiancheggerò Tisia e Corace e il vecchio Gorgia.
Ora so perchè, mi trovo qui, tra vene d’argento
e sorrisi di luna. E non sarò impreparato ospite.
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